Nella precedente nota ho esposto alcune considerazioni in merito al decreto Madia-Renzi1 sull’accorpamento del Corpo forestale dello Stato (CFS) all’Arma dei carabinieri, giungendo alla conclusione che si tratta dell’epilogo “naturale” della trasformazione di questa “forza di polizia ad ordinamento civile, specializzata nella tutela del patrimonio agro-forestale2” in uno dei cinque corpi di polizia nazionale, con funzioni e attività di repressione di reati ambientali assai estese3. Questa legge patrocinata da Alemanno, ministro dell’agricoltura (2001-2006) nel governo Berlusconi II, ha in pratica mutato la natura del corpo forestale (CFS), tradizionalmente dedito alla gestione delle risorse agro-silvo-pastorali e alla tutela idrogeologica soprattutto delle aree montane e collinari, trasformandolo in un corpo di polizia “tuttologo”, investito per miracolosa illuminazione di “competenze” tecniche su tutto lo scibile “ambientale”.
Questa trasformazione innescata agli inizi degli anni ’70 con il trasferimento di varie incombenze amministrative alle regioni e la mancata riforma del ministero dell’agricoltura e foreste (ex-MAF divenuto poi Mipaaf), ha subito un’accelerazione negli anni ’80 e si è consolidata all’inizio del 2000.
Si è già detto che il problema della riforma del CFS non deve essere banalizzato e ridotto a diatriba tra “pro o contro” l’accorpamento all’Arma dei Carabinieri4, è necessario affrontare il problema di come gestire il patrimonio silvo-pastorale e tutelare i beni naturali, in particolare nelle zone collinari e montane, dove il problema è connesso alla difesa idrogeologica, alla salvaguardia del paesaggio e alle condizioni di vita dei suoi superstiti abitanti.
Sul problema dell’assistenza tecnica ed amministrativa necessaria per far fronte al degrado dovuto all’abbandono, all’incuria e all’espropriazione dei beni ambientali per interessi particolari, è necessario aprire un serio confronto di idee. Meraviglia il fatto che studiosi e ricercatori di scienze forestali ed ambientali, organizzazioni di categoria, ordini professionali e associazioni naturalistiche tacciano o minimizzino il problema di come agire collettivamente per tutelare i beni comuni e su come intervenire efficacemente prima del materializzarsi dei danni o degli abusi.
Sembra quasi che intellettuali, ricercatori e associazioni di categoria siano diventati afasici di fronte a questa deriva del sistema culturale e tecnico-amministrativo dell’agricoltura (una sorta di provinciale “trahison des clercs“) e accettino supinamente che il ministro Martina proponga corsi universitari sul “biodinamico”5, freni la ricerca sulle biotecnologie6, si faccia propagandista delle teorie di Carlo Petrini e di buontemponi sognatori di un’arcadia agro-pastorale7.
Tollerare che il Mipaaf persegua questa politica oscurantista nei confronti della ricerca agraria, si accaparri risorse per mettere in piedi organi di polizia ambientale di scarsa utilità pubblica, mantenga una pletorica quanto inefficiente struttura, che non assolve i propri compiti istituzionali di programmazione e di coordinamento della politica agricola del Paese, è uno dei motivi dell’arretratezza della nostra agricoltura e del comparto agro-alimentare. I tanto decantati provvedimenti sulla «cessione dei terreni demaniali a 50 mila giovani agricoltori8» sono semplicemente degli “specchietti per allodole”, roboanti annunci che mascherano la sostanziale mancanza di una strategia di sviluppo dell’agricoltura nel contesto EU e dei processi di globalizzazione.
Sullo stato dei boschi e degli ambienti naturali da anni assistiamo a continue geremiadi sul loro deprecabile stato; gli istituti scientifici, le facoltà universitarie e le scuole tecniche “producono” disoccupati o mal-occupati; non esiste o scarseggia innovazione nella tecnologia della “filiera legno” o dell’agro-alimentare nazionale, ma in compenso si blatera di “sviluppo sostenibile”, di “ecosviluppo” di “green economy” e, utilizzando il linguaggio delle miniere, di “giacimenti” culturali o naturali e su come “valorizzarli”.
Dove ormai con quest’ultimo termine si intende solo la “valorizzazione” economica, l’alienazione di beni comuni, la svendita e la privatizzazione del loro uso.
Di fronte a questa deriva culturale ed etica penso si debbano riaffermare alcuni principi, che un tempo trovarono l’accordo unanime di tutte le componenti politiche:
«convergenza dei valori storici, morali ed economici entro l’alveo dell’interesse nazionale; predominio dell’interesse generale sugli interessi locali e particolari; necessità di un sistema unitario di tutela del patrimonio artistico e del paesaggio; affinità di oggetto fra urbanistica e tutela dei paesaggi; ruolo guida della storia dell’arte nell’intendere i valori della bellezza e quelli della storia9.
Questi principi, già presenti nella nostra Costituzione, sono stati di recente ribaditi dalla Sentenza della Corte costituzionale 259/04 (cfr. Cristina de Benetti, L’ambiente nella giurisprudenza della Corte costituzionale).
I provvedimenti legislativi di questo e dei precedenti governi debbono essere vagliati in base a questi principi guida. Di fronte a tante manipolazioni del quadro legislativo (non ultimo il tentativo di sovvertire la Costituzione), dettate dalla “pulsione a fare”, ad agire in fretta senza discussioni a prescindere dalle conseguenze, è necessario esaminare con lucida intelligenza i fatti ed uscire da questa rappresentazione virtuale della realtà.
La riforma della Pubblica Amministrazione (Madia-Renzi), che non esito a definire “epica” per le contestazioni sollevate, compresa la “bocciatura” da parte della Consulta, e per l’imperitura fama che godrà presso i posteri per la sua approssimazione, confusione, estemporaneità e mancanza di razionalità, ha “decretato” che il Corpo Forestale dello Stato (CFS), la «Forestale» (appellativo originario di “Milizia”) diventi ope legis un «organo di tutela ambientale e agroalimentare», abbandonando lo storico ruolo di «organismo per la gestione della politica forestale». Come avvenuto con precedenti “riforme” della Pubblica Amministrazione («abolizione delle province10», «accorpamento delle sovrintendenze e gestione manageriale dei poli museali11», «razionalizzazione dei precedenti enti di ricerca vigilati dal Ministero12», «abolizione del Magistrato delle Acque e trasferito al Provveditorato alle Opere Pubbliche13», «provvedimento “Sblocca Italia14», «provvedimento “Buona scuola”15» e via enumerando. Provvedimenti schematici, finalizzati per lo più alla privatizzazione dei servizi e alla negazione di ogni forma di pubblico controllo della loro funzionalità.
I suddetti provvedimenti sono abborracciati, dettati da una iconoclastica pulsione a “rottamare” in fretta ogni forma di controllo che ponga dei limiti alle politiche di deregolamentazione di stampo neoliberista. Nessuna visione d’insieme, nessuna strategia per rendere più efficiente e funzionale l’amministrazione pubblica, solo la volontà di accentrare il potere, limitare la partecipazione democratica alla decisione politica, burocratizzare e gerarchizzare le istituzioni, che, rese impotenti di funzionare, sono destinate a incontrollate privatizzazioni o a una grama amorfa sopravvivenza.
Con l’avvento del turbo-governo del «Fare vs Immobilismo» o del «Fare vs Larghe Intese», questo complesso problema viene risolto prendendo un corpo di polizia (CFS) aggregandolo tout court ad un altro corpo di polizia (Arma dei carabinieri).
Così i conti tornano abbiamo quattro corpi di polizia, come aveva sollecitato l’UE16.
«Nonostante questa sia follia, c’è ancora del metodo!»17 in questa pulsione ad eliminare, accorpare, “semplificare”.
Lo smantellamento di servizi di assistenza e di controllo dei beni pubblici, la diffusione di forme di gestione “manageriali” (per lo più managers incompetenti legati a lobbies politico clientelari), la gerarchizzazione e la de-responsabilizzazione delle funzioni, la tutela degli interessi personali a scapito di quelli comunitari, sono funzionali all’instaurarsi di un sistema dirigistico, che lungi dal stimolare la coesione civile e la crescita sociale ed economica, accentua il distacco dei cittadini dalla cosa pubblica, acutizza il disinteresse per i beni comuni, accentua i conflitti sociali.
Era nei voti collettivi che si arrivasse ad una “semplificazione” che si facesse un po’ d’ordine in questa generale confusione di competenze e di responsabilità, che si potesse finalmente avere la certezza che un problema di sicurezza fosse affrontato con la dovuta competenza, professionalità e tempestività da un determinato corpo di polizia responsabile per un certo territorio, e che fosse altrettanto chiaro quali organismi, amministrazioni o enti fossero responsabili per i problemi amministrativi, di assistenza tecnica, di salvaguardia dei diritti e di prevenzione degli abusi a carico del bene comune “ambiente”.
Agli apprendisti stregoni che hanno sfornato il decreto Madia-Renzi, poco o nulla importava delle conseguenze di questo accorpamento, dei problemi che si creavano per il personale, per la funzionalità dei servizi, per l’impiego professionale, per il patrimonio naturalistico, per i mezzi tecnici ed amministrativi in dotazione al Corpo.
Bastava far in fretta, far credere ai cittadini di essere finalmente usciti dall’immobilismo, di aver fatto le tanto attese riforme18».
L’aspettativa generale era quella di un razionale impiego del Corpo per migliorare la gestione dei boschi, curare le opere e le infrastrutture idrogeologiche dei corsi d’acqua di montagna, intervenire per migliorare la viabilità nelle zone montane, prevenire o consolidare i terreni franosi, insomma ci si aspettava una migliorata assistenza tecnica per evitare o almeno minimizzare i disastri che ormai affliggono il nostro ambiente naturale. La collettività si è trovata invece con il potenziamento delle funzioni repressive di abusi già perpetrati, senza una reale tutela dall’insorgenza dei fenomeni di manomissione ambientale. Con l’accavallamento di competenze, la sovrapposizione di incombenze tra organismi, amministrazioni ed enti diversi che di fatto rendono più difficili gli interventi e la partecipazione di altri istituzioni alla gestione dei beni comuni19.
Assoluta anarchia nel controllo della fruizione dell’ambiente e nella tutela dei beni comuni, mascherata da un imponente apparato poliziesco pronto a reprimere reati ambientali (non ben definiti) e a taglieggiare la popolazione imponendo vincoli (spesso inutili) e balzelli gravosi per la gestione dei beni.
Con il trasferimento in toto (funzioni, risorse strumentali e finanziarie, e di gran parte del personale) all’Arma si privano anzitutto le regioni di beni e strutture che potevano essere funzionali a ridar vita o a potenziare i servizi che queste devono fornire in materia di politica forestale ed ambientale (piani di utilizzazione boschiva, regimazione di torrenti, rinsaldamento frane, rimboschimenti, opere miglioramento pascoli, ecc.). Oltre a limitare la capacità operativa delle regioni e delle amministrazioni locali nel settore agro-silvo-pastorale, si creano nuove sovrapposizioni di competenze in materia agro-alimentare ed ambientale, accentuando il fenomeno che si diceva di voler combattere, cioè la burocratizzazione e l’ipertrofia degli organismi ed enti con funzione di controllo, a scapito dei servizi operativi di assistenza tecnica e amministrativa.
Con l’assegnazione del compito di tutelare l’ambiente a corpi di polizia, senza peraltro promuovere iniziative per la partecipazione dei cittadini per il controllo della destinazione d’uso dei beni comuni e della gestione delle risorse naturali, non si rispetta l’impegno assunto che i «cittadini devono avere accesso all’informazione ambientale, essere abilitati a partecipare al processo decisionale e avere accesso alla giustizia riguardo l’ ambiente», perché «… Ciascuno ha il diritto di vivere in ambiente adatto a garantire la propria salute e il proprio benessere e il dovere sia individualmente che in associazione con altri di tutelare e di valorizzare l’ ambiente nell’interesse delle generazioni future20».
Ovviamente i cittadini, singoli o associati, hanno bisogno di aiuto per esercitare i propri diritti, ed anche, spesso, i propri doveri e per questo deve essere fornita loro un’adeguata assistenza tecnica ed amministrativa. Sono venuti a mancare e sono stati volutamente negati proprio questi diritti primari di assistenza nella fruizione dell’ambiente.
Con questo accorpamento del CFS all’Arma la possibilità, ma anche il diritto di essere compartecipi delle decisioni in materia di fruizione dell’ambiente, di partecipare singolarmente o collettivamente ai processi decisionali sulla destinazione e sul controllo dell’uso di beni collettivi (paesaggio, ambiente, ecosistemi) vengono vanificati o quantomeno seriamente ridotti. Nessun cittadino infatti per avere assistenza tecnica o amministrativa si rivolge ad un corpo di polizia incaricato alla repressione di reati. Lo fa solo in presenza di abusi perpetrati per un danno privato, non per danni che ledono diritti collettivi sull’ambiente. Per prevenire questi abusi occorre sviluppare una coscienza della partecipazione, un sistema di scambio di informazioni, luoghi di incontro e di discussione con le amministrazioni per adeguare i servizi ai bisogni pubblici.
Il problema della tutela dei beni comuni (territorio, paesaggio, ambiente, ecosistemi) non si risolve accorpando eterogenee strutture amministrative, eliminando servizi, enti, organismi, definiti sbrigativamente come inutili (soprattutto se non apportano beneficio a qualche lobby politica o economica), come di fatto è avvenuto con questo abborracciato decreto.
Le scelte politiche effettuate a suo tempo di ostacolare la regionalizzazione del corpo, perpetuando l’esistenza di una struttura centralizzata con preminenti compiti di polizia, svolti spesso in contrasto o in modo insufficientemente coordinato con le amministrazioni regionali21 hanno di fatto peggiorato (ad esclusione di alcune regioni con una storica tradizione amministrativa forestale) il controllo sulle utilizzazioni e la cura dei boschi e del paesaggio forestale.
Il decreto D.P.C.M. 11 maggio 2001, dipinto come “famigerato” perché comportava lo “smembramento” del Corpo forestale e il trasferimento alle Regioni del 70% delle unità in servizio al 31 dicembre 1998 (e di quelle in via d’assunzione per concorsi già banditi) non ha avuto esito perché annullato da una sentenza del tribunale amministrativo22 e l’inciso riguardante “il trasferimento alle Regioni dei beni e le risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative del Corpo forestale dello Stato” presente nella norma legislativa23 sarà definitivamente soppresso nel nuovo ordinamento del CFS24.
Per effetto della “regionalizzazione” degli anni ’70, il Corpo Forestale della Stato ha perso la connotazione originaria stabilita dal Decreto legislativo 12 marzo 1948, n. 804. Art. 125, poiché sono venute meno le funzioni tecnico-amministrative relative alla gestione agro-silvo-pastorale, alla difesa idrogeologica, alla caccia, alla pesca e alla tutela degli ambienti naturalisticamente rilevanti26.
Le regioni a statuto speciale e alcune regioni tradizionalmente dotate di un’amministrazione forestale efficiente e di personale preparato hanno continuato ad assolvere ai compiti stabiliti dai decreti di regionalizzazione, avvalendosi anche del CFS che ha svolto per un certo periodo i compiti di protezione delle risorse forestali in sintonia con le amministrazioni locali. Questo modello di collaborazione, che nelle regioni a statuto speciale si era dimostrato valido per la sburocratizzazione e la maggior incisività dei lavori, non è stato adottato nelle altre regioni, vuoi per il timore da parte del ministero e della direzione forestale di perdere potere, vuoi per la resistenza dei sindacati e del personale forestale timoroso di perdere le prebende ed indennità di servizio derivanti dall’equiparazione alla polizia di stato (indennità di P.S.)27 e di essere declassato a strumento esecutivo dei voleri locali, vuoi per l’interesse dei politici di mantenere un bacino elettorale facilmente gestibile, utile per le loro carriere.
Le regioni, d’altra parte, prive di dimestichezza dei problemi forestali, della difesa idrogeologica e della gestione dei vincoli e degli ambienti naturali, anziché pretendere, come era loro diritto, la regionalizzazione del Corpo, costituendo dei servizi regionali funzionanti con queste risorse di personale e mezzi, hanno optato per un ambiguo rapporto mediante apposite convenzioni.
«Il passaggio di competenze tra Stato e Regioni nel settore forestale ha generato una ricca normativa regionale che ha portato a svariate impostazioni di «politica forestale locale» spesso con risvolti negativi, e ha determinato peraltro una forte disomogeneità di situazioni tra le diverse Regioni, con la conseguente attuazione di norme e strumenti di programmazione piuttosto differenziate nei diversi aspetti che riguardano la definizione di bosco, i rimboschimenti compensativi, la definizione di nuove finalità oltre a quelle produttive e protettive (ecologiche, paesaggistiche, culturali, miglioramento delle condizioni e della qualità della vita nelle aree montane, ecc), la valorizzazione della pianificazione forestale, l’ampliamento delle “Prescrizioni di massima e di polizia forestale”, la regolamentazione nella fruizione del bosco, il divieto del taglio a raso e la promozione del taglio colturale e l’incentivazione delle forme associative»28.
Con la creazione di un «Comando per la Tutela Forestale, Ambientale e Agroalimentare» dei carabinieri, retto dal Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali al personale del Corpo «verrà assicurato lo svolgimento di mansioni in linea con la sua specializzazione» e «ai nuovi immessi sarà garantita un’adeguata formazione professionale nelle materie agro-ambientali, oltreché la salvaguardia delle carriere secondo i criteri in vigore». Il risparmio previsto da questo accorpamento è assai modesto, attorno a 100 milioni per un triennio.
Vien allora da chiedersi se non era più conveniente e logico fornire un supporto e un’assistenza alle regioni per creare propri servizi di tutela forestale e ambientale, fornendo loro il personale dotato di specifiche conoscenze tecniche per gestire i boschi, pianificare e controllare i lavori di regimazione dei torrenti, di rinsaldamento dei terreni franosi, di miglioramento dei pascoli, ecc.
Questo è quanto si doveva fare con la “regionalizzazione”, ma allora, come ora la burocrazia ministeriale e gli accentratori di potere hanno imposto forme di controllo sul territorio che non possono servire né all’occupazione, né allo sviluppo culturale, né a frenare la rapina delle risorse e il degrado ambientale.
Le funzioni attribuite al nucleo CFS accorpato nell’Arma dei Carabinieri ricalcano in gran parte quelle assegnate in passato al corpo29. Sono stati aggiunti nuovi compiti concernenti i controlli agro-alimentari, sulla la “biodiversità” e sulla tutela degli ecosistemi e del paesaggio. In pratica il CFS viene inglobato nell’Arma dei carabinieri, mantenendo le proprie funzioni (tranne che per le attività inerenti il CITES, gli incendi boschivi, gli alberi monumentali).
Il «Comando carabinieri tutela per l’ambiente» e il «Comando carabinieri politiche agricole e alimentari» sono da subito inquadrate nell’istituenda «organizzazione per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare». La soluzione organizzativa adottata, che non modifica né la struttura unitaria del Corpo, né le competenze dei reparti territoriali e conferma la dipendenza funzionale dell’organizzazione forestale dell’Arma dal Ministro delle politiche agricole per le materie afferenti alla tutela agro-alimentare e forestale, appare conforme ai principi della delega e preserva le professionalità degli appartenenti al Corpo forestale, realizzando così la condizione indispensabile affinché le funzioni attualmente attribuite al Corpo forestale non subiscano soluzione di continuità.
Nessun altra considerazione vien fatta circa la funzionalità di questo accorpamento alle effettive necessità territoriali di cura e gestione efficace dei beni comuni, né si indica come questa nuova struttura possa esercitare i compiti di controllo attribuiti.
È demagogico affidare la “tutela” (se a questo termine diamo il suo rigoroso significato30 delle foreste e dei beni ambientali all’Arma dei Carabinieri, che dal punto istituzionale è delegata alla prevenzione e repressione dei reati e degli abusi sanzionati dalle leggi vigenti, quindi anche quelli attinenti alle frodi agro-alimentari, ai danni ambientali31 e non ha la responsabilità di gestire o amministrare un bene comune (foresta, paesaggio, ecc.).
La pretesa di esercitare una “tutela” del patrimonio forestale mediante un corpo militarizzato, dotato di un pesante armamento, impegnato in compiti di mantenimento dell’ordine pubblico (compiti che hanno travalicato quelli originariamente assegnati) è dettata unicamente da brama di potere. Questo è un provvedimento demagogico per giustificare l’inerzia e l’incapacità del Mipaaf di sviluppare una efficace politica agro-silvo-pastorale, in accordo (non in antagonismo) con le regioni e le istituzioni locali e sovranazionali, e di darsi un’organizzazione e struttura funzionale agli specifici compiti di indirizzo e programmazione32.
Anche in questo caso il Mipaaf, contravvenendo agli obblighi di cooperazione e mutua assistenza con le regioni e le altre istituzioni preposte alla tutela dell’ambiente, si è auto-attribuito delle funzioni proprie di altri organismi. Anziché darsi un assetto rispondente al suo specifico ruolo di indirizzare, coordinare e favorire lo sviluppo economico e sociale di questo comparto, ha trasferito all’Arma gran parte dei compiti di gestione, amministrazione e tutela attribuiti alle amministrazioni locali (regioni, province, enti locali), assunti dal CFS in contrasto con quanto stabilito dalla “regionalizzazione” in materia agro-silvo-pastorale e ambientale.
Se si ha effettivamente in animo di tutelare le foreste, gli ecosistemi naturali, l’ambiente, il territorio, il paesaggio, cioè dei “beni comuni”, è necessario prendere coscienza che questa azione non può (né deve) essere demandata a corpi di polizia, che, sia pur dotati di numeroso personale e di ingenti mezzi, non saranno mai in grado di sorvegliare e contrastare le politiche distruttive dell’ambiente con analoga attenzione dei cittadini e della comunità presente nel territorio in cui vive.
I progetti di ricerca, che il CFS sostiene di aver compiuto, sono stati realizzati da alcune università o istituti di ricerca mediante finanziamenti dell’Unione Europea. Essi riguardano in prevalenza aspetti entomologici e faunistici specialistici e specifici problemi ecologici di formazioni vegetali di interesse locale. Per la loro estemporaneità, mancanza di rigorosi protocolli investigativi e frammentarietà, questi progetti mal si prestano all’estensione in ambienti diversi e alla comparazione con altre indagini. Nello svolgimento di queste ricerche applicative il CFS ha svolto un ruolo di supporto finanziario e parzialmente operativo. Non si può certo affermare che abbia maturato come Corpo delle competenze analoghe a quelle delle istituzioni scientifiche con le quali saltuariamente opera. Ben diverso era il tipo di collaborazione con gli istituti di ricerca e di sperimentazione agraria e con le facoltà di scienze forestali esistente in passato, quando presso le facoltà e gli istituti sperimentali agro-forestali esisteva un’organica cooperazione con il personale del CFS, avendo in comune laboratori e materiale scientifico e tecnico. L’attività di gestione delle risorse forestali, di difesa idrogeologica e di salvaguardia dei beni ambientali era svolta con il fattivo impegno comune di ricercatori, studiosi forestali e personale del CFS.
Gli enti, le istituzioni, gli organismi che esercitano la tutela del paesaggio, dei beni artistici, del patrimonio forestale, della salute pubblica, ecc. sono numerosissimi ed agiscono spesso in maniera non coordinata sulla base di una pletora di provvedimenti stabiliti a livello nazionale, regionale e locale. Alcuni aspetti concernenti il controllo e la salvaguardia della “biodiversità33” animale e vegetale, la tutela degli “ecosistemi agro-forestali” e del “patrimonio naturalistico nazionale”, come pure la prevenzione del “dissesto idrogeologico” presuppongono adeguate conoscenze tecnico-scientifiche, attrezzature e metodologie analitiche sofisticate e una efficiente rete di ricerca e di monitoraggio ambientale attualmente inesistente. Tutto questo dovrebbe avvenire con la supervisione degli enti di ricerca e con una organica collaborazione con altre istituzioni che curano la salute pubblica e controllano i fattori negativi che agiscono sul territorio (inquinamento atmosferico, idrico, terrestre; smaltimento rifiuti, ecc.). Non è pensabile che questi problemi vengano demandati unicamente agli organismi di repressione dei reati e, in ogni caso, le associazioni volontarie e le istituzioni che tutelano la salute pubblica potrebbero avere un ruolo importante per segnalare l’uso improprio dei beni comuni.
L’accorpamento del CFS nell’Arma dei Carabinieri è l’epilogo di un lungo conflitto tra volontà accentratrice e aspirazione al decentramento dei poteri e delle funzioni di controllare l’utilizzazione e la gestione dei boschi e del territorio montano, che nel tempo ha assunto la dimensione di controllo dei beni comuni (paesaggio, ambiente, territorio). È un capitolo dell’irrisolto conflitto tra “Stato accentrato, Stato decentrato, Stato delle autonomie“, che ancora una volta si è concluso nella regressione verso forme di autoritarismo, di burocratizzazione e di gerarchizzazione dei servizi tecnici ed amministrativi che dovrebbero intervenire ed operare sul territorio per realizzare una razionale gestione dei beni comuni.
Nel suddetto decreto il CFS, accorpato all’Arma, dovrebbe svolgere «attività di studio connesse alle competenze trasferite con particolare riferimento alla rilevazione qualitativa e quantitativa delle risorse forestali, anche al fine della costituzione dell’inventario forestale nazionale, al monitoraggio sullo stato fitosanitario delle foreste, ai controlli sul livello di inquinamento degli ecosistemi forestali, al monitoraggio del territorio in genere con raccolta, elaborazione, archiviazione e diffusione dei dati, anche relativi alle aree percorse dal fuoco».
L’indirizzo adottato dal Mipaaf per l’inventario forestale nazionale è quello di privatizzare questo servizio, analogamente a quanto fatto in precedenza con l’inventario olivicolo o vitivinicolo, i cui risultati non potranno essere scientificamente vagliati per la mancanza di strutture tecniche in grado di validare i rilievi eseguiti, né si potranno studiare ed adottare metodologie di elaborazione dei dati acquisiti che possano servire per una pianificazione della politica forestale o agricola nazionale. Analoghe considerazioni sui possono fare per altre funzioni attribuite in precedenza al CFS ed ora all’Arma35.
All’Arma sono stati trasferiti anche i compito di effettuare ricerche e applicazioni sperimentali forestali, di curare la statistica e catasto forestale, di svolgere opera di propaganda e divulgazione in materia forestale, di tutelare la “biodiversità” ed altro ancora. Sarebbe impietoso fare un bilancio di come l’ex-CFS ha assolto a questi compiti da un trentennio a questa parte. Sta di fatto che le statistiche sui mercati del legame e sull’economia forestale da anni non sono né curate né aggiornate (per conoscere l’andamento dei mercati ci si deve rivolgere a Federlegno o ad altri organismi). L’ISTAT è stata insignita del premio igNobel Prize (2014) attribuito alle migliori “castronerie” scientifiche (inclusione del “denaro sporco” nel bilancio dello Stato per giustificare l’aumento del PIL)36, le ricerche in materia agro-forestale sono piuttosto deludenti (comunque non sono opera del ex-CFS, ma di altre istituzioni), le opere di divulgazione scientifica forestale edite dal Corpo sono di modesta levatura scientifica e si potrebbe continuare questa enumerazione di fatti che documentano la realtà effettiva di incompetenza, di approssimazione, di mistificazione della realtà.
L’accorpamento del CFS all’Arma non aiuta il nostro Paese a crescere civilmente e culturalmente: la ricerca (forestale, naturalistica, ambientale, ecc.) verrà ulteriormente limitata nello sviluppo e nell’innovazione, le potenzialità professionali verranno ancora una volta ridotte e mortificate, si accentueranno i conflitti tra i vari soggetti, crescerà lo scoraggiamento e l’apatia di quanti operano in questo campo e i problemi della montagna continueranno ad aggravarsi.
Con questo provvedimento Madia-Renzi si è creato un “Ircocervo“ o “Tragelafo”, una cosa assurda irreale, degna di chi vive in una “realtà virtuale” e si diletta, a spese della collettività, a “rottamare”, “disfare”, “semplificare” servizi per conseguire modestissimi (o inesistenti) risparmi, producendo in compenso ulteriore caos in questa disastrata amministrazione pubblica.
Questo provvedimento, com’è naturale, produrrà ricorsi giudiziari, malumori, resistenze che si tradurranno in nuovi disagi per gli utenti; gli addetti ai lavori avranno nuove difficoltà derivanti da penosi, inutili controlli da parte di personale non adeguatamente preparato; aumenterà la corruzione e la malversazione, continueranno le prevaricazioni, che stanno a monte dell’opera di repressione dei reati.
Per quanto riguarda la ricerca forestale e la gestione delle risorse naturalistiche e paesaggistiche perdiamo a livello internazionale ogni credibilità, perché abbiamo saputo distruggere quanto di positivo era stato fatto in passato per l’economia agro-silvo-pastorale, con buona pace dei giovani, che si impegnano nelle università, negli istituti tecnici e nei centri di ricerca per far progredire la cultura forestale ed ambientale, e di quanti hanno speso le loro energie per avere un ambiente degno di essere vissuto.
- Decreto legislativo recante disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del corpo forestale dello stato ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche.
- «Il personale del Corpo forestale dello Stato è, a tutti gli effetti, personale civile dello Stato ed è soggetto alle disposizioni del relativo stato giuridico» (Decreto legislativo 12 marzo 1948, n. 804).
- La legge 6 febbraio 2004, n. 36, trasforma il CFS in «forza di polizia dello Stato ad ordinamento civile, specializzata nella difesa del patrimonio agro-forestale italiano e nella tutela dell’ambiente, del paesaggio e dell’ecosistema».
- In ordine ai dubbi sulla legittimità dell’assorbimento del Corpo forestale nell’Arma dei Carabinieri e della militarizzazione ope legis del suo personale, il Consiglio di Stato nell’Adunanza della Commissione speciale del 18 aprile 2016 (N. A. 00434/2016), ha sancito la sostanziale legittimità del provvedimento.
- Elena Cattaneo, scienziata e senatrice, ha definito la proposta “sconvolgente”: «Non è possibile che non si sia in grado di distinguere tra competenze, professionalità e ciarlataneria». Come giustamente ha fatto osservare il rettore della Bocconi “l’agricoltura biodinamica è basata su credenze senza fondamento scientifico, che vanno dall’omeopatia all’astrologia con un tocco di stregoneria. Si fonda su dottrine esoteriche, sulla convinzione che in agricoltura agiscano energie cosmiche e forze astrali e si basa su pratiche bizzarre. (vedi “agricoltura biodinamica“)
- La “legge di Stabilità” ha finanziato con 21 milioni di euro «il più importante progetto di ricerca pubblica fatto nel nostro Paese su una frontiera centrale come il miglioramento genetico attraverso biotecnologie sostenibili»(Mipaaf). «Sembrerebbe un passo avanti, visto che da più di venti anni non si investe in un settore in cui l’Italia era all’avanguardia, ma non illudiamoci mancano i siti dove sperimentare e i protocolli sperimentali delle varie piante. Questo atteggiamento di opposizione a ogni forma di progresso ha mandato al rogo decenni di ricerche pubbliche di miglioramento genetico» (Elena Cattaneo).
- Per una sintetica valutazione delle teorie di Carlo Petrini e della loro inconsistenza scientifica vedi anche Dario Bressanini, “Ideologia slow food” e le iniziative all’Expo di “Terra madre“.
- Il ministro Martina, particolarmente versato negli annunci fantasmagorici, ha chiarito che “i terreni coinvolti nel progetto appartengono nello specifico al Demanio (2.480 ettari), al Corpo forestale dello Stato (2.148 ettari), al Centro ricerche agricoltura del Mipaaf (882 ettari) e all’Ente Risi (48 ettari) e che “… da qui (2014) a pochi mesi intendiamo estendere la vendita e l’affitto ai terreni delle Regioni e dei Comuni (Decreto “Terrevive“). Evidentemente il ministro si equivoca parlando di terreni delle Regioni e dei Comuni, che non “appartengono” al Mipaaf, ma sono terreni demaniali, rappresenato cioè un bene comune. Poi questa solfa dei 50.000 giovani che troveranno occupazione nelle terre demaniali si era già sentita dal ministro Zaia nel 2009 (La terra ai giovani) e da allora si continua a propagare questa fola senza fornire dati oggettivi sui risultati ottenuti.
- La citazione è tratta da Salvatore Settis, Costituzione: perché attuarla è meglio che cambiarla. Giulio Einaudi ed., Torino, 2016, p. 134
- La legge Delrio non ha abolito le province, ma ne ha riformato le competenze, creando una notevole confusione circa i compiti e le funzioni in materia ambientale (polizia idraulica, viabilità, caccia e pesca, ecc.). La legge 190/2014 ha poi ridotto le loro risorse influendo negativamente sull’esercizio di molti servizi, che privati di mezzi e di chiare direttive operative, sono destinati all’inattività e all’abolizione. Un’ingannevole informazione ha fatto credere che l’affermazione del “Sì” al Referendum ratificasse la loro abolizione.
- Inserito nel provvedimento «Tagli agli sprechi e riorganizzazione dell’Amministrazione» riduce le già scarse possibilità operative di queste amministrazioni e, in nome di una mitica gestione “manageriale”, pretende di valorizzare il patrimonio culturale in base a contingenti interessi economici, limitando ogni possibilità di controllo sui beni comuni (archeologici, artistici, paesaggistici, ecc.).
- Gli ex-Istituti Sperimentali MAF, sono diventati una sorta di agenzia propagandistica dell’agro-alimentare “made in Italy“. Dalla presentazione del Mipaaf si apprende infatti che la nuova struttura vuol «CREAre opportunità in agricoltura … uno degli obiettivi del nuovo “Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria – CREA”, nato dalla razionalizzazione dei precedenti enti di ricerca vigilati dal Ministero è concepito per dare al Paese un centro di ricerca di eccellenza, in grado di supportare i territori e le imprese agricole nella sfida per la tutela e la promozione del made in Italy agroalimentare». Questo provvedimento (Riorganizzazione del settore della ricerca in agricoltura) snatura la funzione degli istituti sperimentali impediti dal far ricerca e divulgazione per le ristrettezze finanziarie, aggravate con l’accorpamento di un coacervo di disparati enti ministeriali finanziariamente ed operativamente dissestati. La mancanza inoltre di chiari obbiettivi funzionali, l’assenza di ogni forma di coordinamento con altre istituzioni di ricerca hanno ridotto questi istituti a modesti organi di supporto della politica agricola del Mipaaf, senza possibilità alcuna di svolgere un’efficace divulgazione o assistenza tecnico-scientifica nel settore agrario e forestale.
- Alla dipendenza del Ministero Infrastrutture e Trasporti, retto da Lupi, dimessosi per corruzione, e attualmente da Delrio, diventato patrocinatore del famigerato “Ponte dello Stretto di Messina” dopo il voltafaccia di Renzi, che in occasione del “Referendum” ha sponsorizzato l’opera, pensando di acquisire consensi.
- «Un calderone di provvedimenti disparati che inondano l’Italia di valanghe di cemento, trivellazioni petrolifere e sciami di inceneritori e che stracciano la Costituzione, da una parte indebolendo gli organi di tutela e dall’altra creando commissari straordinari dotati di poteri speciali e super-progetti privati in grado di derogare alle leggi e agli ordinari democratici strumenti di programmazione urbanistica» (Anna Fava, in Salvatore Settis, Costituzione, Einaudi, Torino, 2016, p. 167).»
- Il cui scopo preminente è accentuare le differenze esistenti tra scuole d’élite (più o meno private), e scuole per le classi subalterne, gerarchizzare il corpo insegnante, creare vincoli e controlli sulla libertà di insegnamento (vedi documento “Buona scuola“).
- La sollecitazione riguardava certamente il numero di polizie, perché nessun altro paese dell’Unione Europea presenta una tal proliferazione di forze, una simile sovrapposizione di competenze e di funzioni come l’Italia, ma sottolineava soprattutto la necessità di investire maggiormente sulla capacità di analisi preventiva dei fenomeni criminali, nell’intelligence-led policy, per indirizzare l’azione delle forze di polizia nel campo della prevenzione e successivamente nella repressione dei fenomeni criminali.
- W. Shakespeare, Amleto, Atto II, Scena II.
- Lo stesso consiglio di Stato nel suo parere (Numero 01183/2016 e data 12/05/2016) rileva che «In tale quadro si ritiene che andrebbe ampliato l’arco di tempo di un anno al momento previsto per apportare integrazioni e correttivi al decreto in esame, tenendo presente che l’aggiustamento potrà essere tanto più efficace se sostenuto da un approfondita verifica dell’impatto del decreto sulla regolazione, a cui potrebbe concorrere anche questo Consiglio, se richiesto (come già esposto al precedente § 3.2.).
- Una parziale rassegna di questa sovrapposizione di compiti e dell’attribuzione delle medesime competenze a diverse istituzioni nazionali, regionali e locali si ritrova nella precedente nota, ma è in pratica impossibile orientarsi in questo ginepraio di funzioni.
- L’articolo 1, della «Convenzione di Århus, Danimarca, 25 giugno 1998», su «accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e alla giustizia in materia ambientale» (entrata in vigore nel 2001 e sottoscritta dall’Italia – 2003) stabilisce «Per contribuire a tutelare il diritto di ogni persona, nelle generazioni presenti e future, a vivere in un ambiente atto ad assicurare la sua salute e il suo benessere, ciascuna Parte garantisce il diritto di accesso alle informazioni, di partecipazione del pubblico ai processi decisionali e di accesso alla giustizia in materia ambientale in conformità delle disposizioni della presente convenzione».
- Decreto presidenziale 15 gennaio 1972, n.11, concernente il trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di agricoltura e foreste, di caccia e di pesca. I