La seguente bozza di articolo viene pubblicata postuma.
Da un po’ di tempo gli accademici forestali hanno riscoperto il «Bosco permanente o durevole» (Dauerwald – DW), brillante metafora selvicolturale coniata da Alfred Möller negli anni venti del secolo scorso e caduta in oblio nel Dopoguerra per le ideologiche rimembranze del Nazional-Socialismo.
Il termine, tradotto nella letteratura anglosassone come «Bosco a copertura permanente» (Continuous Forest Cover – CCF), è passato ad indicare un indirizzo selvicolturale assai prossimo ai sistemi di trattamento dei boschi classificati come «prossimi alla natura» (Natur-nah), «confacenti alla natura» (Natur-gemäß), «su basi naturalistiche» o «vicini alla natura», etc.
In effetti è piuttosto arduo individuare una specificità colturale e gestionale nei singoli indirizzi espressi mediante questi termini («prossimo alla natura», «naturalistico», «eco-compatibile», ecc.) per la loro prevalente valenza metaforica. Questo riguarda anche il «Dauerwald», se ci si limita ad una generica descrizione dei caratteri del popolamento o delle finalità gestionali, senza analizzare i presupposti bio-ecologici fondanti il «bosco permanente» di Möller e dei successivi prosecutori. Del resto, fin dal suo apparire il termine «Dauerwald» aveva suscitato qualche perplessità e alcuni selvicoltori avevano affermato che non si era stato definito in modo rigoroso la specificità di questa pratica selvicolturale che appariva non molto dissimile dal sistema «Plenterbetrieb»1.
Nel “Lexikon der Biologie“ alla voce «Governo permanente del bosco» (Dauerwaldwirtschaft) leggiamo trattarsi di una maniera di gestire il bosco che si avvale dei processi di crescita e di rinnovazione naturale, rifuggendo da interventi drastici, come il taglio raso. Esso contempla un carico di ungulati contenuto, un uso parsimonioso di pesticidi, di fertilizzanti e di ammendati, come presupposto per favorire condizioni pedologiche ottimali. Privilegia la rinnovazione delle specie tipiche del popolamento: alberi di ogni età vegetano uno accanto all’altro ; nella penombra i soggetti più giovani cercano la luce e per questo sviluppano fusti diritti e vigorosi.
Una definizione del genere si attaglia perfettamente anche ad altri indirizzi selvicolturali e non chiarisce quale sia la specificità del «bosco permanente». Adottando questa generica definizione di «Dauerwald» senza analizzare in dettaglio i presupposti su cui Möller ha fondato la sua teoria e pratica selvicolturale, si deve convenire che il «Bosco permanente non è di per sé un sistema selvicolturale, perché comprende una varietà di sistemi, indirizzati ai principi del “Dauerwald”»2. Dello stesso parere è anche Piussi, il quale afferma che «Möller non ha fornito una definizione esplicita di Dauerwald (D); quindi è un’astrazione che si riferisce a tutti i boschi gestiti con i principi sopra indicati. Möller non faceva riferimento ad una specifica struttura del bosco e nemmeno ad una specifica tecnica forestale, egli non voleva mettere una camicia di forza a situazioni diverse sotto il profilo ecologico ed economico».3
Al fine di evitare confusioni e la diffusione di interpretazioni soggettive del significato di questa pratica selvicolturale è opportuno cercare di ricostruire come è nato e quale ruolo abbia avuto il «Dauerwald» nel pensiero e nella pratica gestionale delle foreste, evitando mitizzazioni o artate interpretazioni di questo indirizzo.4.
- Secondo alcuni selvicoltori tedeschi “… attualmente il termine Dauerwald non è definito rigorosamente e inequivocabilmente, tanto che il “bosco permanente” e il bosco a taglio saltuario (Plenterwald) stanno ad indicare la stessa cosa [«… der Begriff “Dauerwald” zurzeit noch nicht einheitlich und scharf umrissen ist, sowie dass Dauerwald und Plenterwald dasselbe bezeichnen»].
- «Dauerwald is not a silvicultural system in itself, but encompasses a range of systems; and the management of forests under no particular system, but following the Dauerwald principles». Helliwell D. R., Dauerwald. Forestry, Vol. 70, No. 4, 1997.
- Piussi P., 2009 – Selvicoltura naturalistica: le vicende delle origini. Selvicoltura naturalistica: basi ecologiche, applicazioni e contesto normativo 45° Corso di Cultura in Ecologia, San Vito di Cadore.
- Questa interpretazione del concetto di «Dauerwald» si ritrova in molti scritti dei «selvicoltori sistemici», i quali non esaminano dettagliatamente e storicamente come si sia affermata e diffusa la teoria di Möller. Il promotore della «selvicoltura sistemica» sostiene infatti, senza peraltro addurre prove concrete, «… continuo a considerare, Alfred Möller e la teoria del Dauerwald -bosco permanente – come la più importante innovazione selvicolturale e gestionale, per di più esposta e illustrata su basi epistemologiche negli anni venti del secolo scorso». Ciancio, O., I forestali oggi e domani. Recensione al libro di Hofmann A. A., 2015, I forestali oggi non capiscono: Racconti. Lombardi Editore. Italia Forestale e Montana, 70, 4, 2015.»