Balzane definizioni «silvo-sistemiche» di «selvicoltura» e di «bosco»
Divo Sylvanus, signore dei boschi, aiutaci tu a districarci dalla «Babele» linguistica dei «silvo-sistemici».
Si è disquisito se la «selvicoltura» fosse una una «scienza», una «tecnica» o un’«arte» e l’enigma non è stato risolto. Penso non fosse possibile venir a capo di questo arduo interrogativo («selvicoltura: scienza, tecnica, arte?»), perché il significato attribuito ai termini «scienza», «tecnica» ed «arte» non è stato chiarito.
Sulle caratteristiche della «scienza» si è disquisito ad iosa, rimane invece irrisolto il motivo per il quale si consideri la «selvicoltura» una «tecnica» o un’«arte».
Il termine «arte»1, associato al termine «selvicoltura» indica la capacità di applicare correttamente ed efficacemente, «a regola d’arte» il complesso di procedimenti e di esperienze conoscitive teoriche e pratiche per realizzare determinati obiettivi colturali. L’equivalente tedesco di «arte», «Kunst»2, utilizzato per denotare anche la «selvicoltura» (Waldbau) ha lo stesso senso ed indica la tecnica che si «padroneggia» sia dal punto di vista teorico che pratico per coltivare il bosco (sylva-colĕre).
In selvicoltura il termine «arte» coincide quindi con «tecnica», sostantivo utilizzato in Italia a partire dal 1891, mentre «tecnico» sembra essere entrato in uso già nel 1754-56. Il lemma deriva dal greco «téchne» = arte, nel senso di produzione («poiesis», il fare materialmente) e denota la capacità ed abilità di praticare degli interventi selvicolturali, che possiedano i requisiti per un’utilizzazione ottimale del «bosco». Sul tema arte-tecnica ci si può aggiornare seguendo la lezione di Stefano Velotti.
Forse si parlava di cose diverse e per questo non ci si capiva. È quindi necessario riprendere alcune definizioni, di cosa si intenda per «selvicoltura» e per «bosco». Definizioni in passato più o meno accettate dai selvicoltori di vecchia maniera ed ora oggetto di vivaci discussioni.
Mi rendo tuttavia conto, che i selvicoltori di vecchio stampo sono stati da tempo «rottamati» per la nota incapacità di «parlare col bosco», e perché in grado di esprimere solamente «un dissenso fragile e, per certi versi, inconsistente, perché figlio di un modo di pensare debole e storicamente determinato da criteri inadeguati e, soprattutto, inattuali».3 Tuttavia, a dispetto di questi enormi limiti, vorrei aggiungere sommessamente alcune considerazioni in merito alle tesi espresse dai «silvo-sistemici».
In Europa si comincia a parlare di selvicoltura solo al principio dell’Ottocento, derivando il lemma da «sylva»4 = selva e colĕre (coltivare delle piante, dei vegetali, delle piantate o della terra).
Il termine «Sylviculture» è impiegato per la prima volta in Francia da Teulières nel 1835, e quello di «Sylviculteur» nel 1872.5
In Italia, Cosimo Ridolfi utilizza il termine «Silvicoltura» per la prima volta nel 1860, mutuandolo presumibilmente dalla Francia.6
Nell’accezione corrente «selvicoltura» o «silvicoltura» è il «ramo delle scienze forestali concernente l’impianto e la conservazione dei boschi», oppure «l’insieme delle attività che hanno per obiettivo la conservazione, la gestione, la rinnovazione e l’impianto dei boschi».7
Con significato estensivo, il complesso delle scienze forestali, che insegna a trarre il maggior utile possibile dalle formazioni boschive, i cui prodotti si distinguono in primari (legname) e secondari (erba, frutta, resine, ecc.) – Enciclopedia Treccani8
Secondo i francesi «La selvicoltura è la scienza che ha come scopo la coltura, il mantenimento e l’utilizzazione razionale delle foreste. L’insieme di tecniche che consentono la creazione e l’utilizzazione razionale delle foreste, garantendo nel contempo la loro conservazione e rigenerazione».9
In Germania, per «selvicoltura» si utilizza attualmente il termine «Waldbau»10, ideato da Heinrich Cotta nel 1817; termine che ha progressivamente sostituito l’espressione precedentemente in uso «Holzzucht» (Allevamento del legno, traslato bosco). Con il vocabolo «Waldbau» si intende «La tecnica di gestione del bosco nella direzione prescelta attraverso interventi tempestivi e razionali, in base a conoscenze scientifiche e a realistiche valutazioni operative, senza peraltro limitare le potenzialità produttive. Le caratteristiche principali del sistema selvicolturale sono: persistenza del sistema produttivo; processi orientati verso la naturalità; organismi selvatici con il corredo genetico originario; utilizzazione multipla.11
Secondo la classica definizione della scuola forestale tedesca, «selvicoltura», intesa come «dottrina selvicolturale» (Waldbaulehre)12, è il ramo delle scienze forestali che disciplina l’impianto e l’allevamento dei popolamenti forestali per il legno, curando il mantenimento della loro composizione specifica e strutturale in rapporto alla varietà di specie legnose e alle modalità colturali.
Di là da ogni pretesa innovativa, per «selvicoltura» si intende quindi «l’insieme delle attività che hanno per obiettivo la conservazione, la gestione, la rinnovazione e l’impianto dei boschi13. Essa individua le multiformi pratiche o interventi legati alla coltura dei boschi al fine di trarne benefici, i quali sono mutevoli nel tempo, nelle diverse società e nei diversi paesi. Anche il termine «selva» col tempo ha assunto significati differenti in relazione ai mutamenti dei rapporti sociali, economici e culturali e all’acquisizione di nuove conoscenze bio-ecologiche. Di conseguenza, la «selvicoltura», come pratica colturale finalizzata al conseguimento di particolari risorse o a garantire determinati benefici, ha sempre avuto un carattere polivalente, mutevole nel tempo, strettamente legato all’economia predominante.
Per mostrare l’evoluzione nel tempo del termine «selvicoltura», intesa come attività mirante a perseguire specifici scopi, il professor Ciancio ha redatto un elenco delle «definizioni di selvicoltura» – dal 1863 al 1994 – di vari studiosi italiani ed europei. Questo elenco di «definizioni di selvicoltura» è stato ripreso successivamente da Leone (1996)14. Si tratta di un interessante tentativo di ricostruire come sia variato nel tempo il senso della «selvicoltura». Le definizioni tratte da studiosi delle scienze forestali presentano un particolare interesse perché riflettono non solo il tipo di formazione culturale e scientifica del selvicoltore, ma anche gli scopi economici e sociali di questa pratica in un particolare momento storico e quindi la visione complessiva del bosco da parte della collettività.
Solo alcune «definizioni» riportate nell’elenco possono essere considerate tali, se per «definizione» si intende «la spiegazione del significato di un termine o di un’espressione» volta ad indicare «l’essenza di qualcosa, oppure il significato di una parola».15. Possono essere considerate definizioni rispondenti ai canoni logici, quelle riportate precedentemente, oppure le definizioni di Di Bérenger (1863)16, di Perona (1880)17, di De Philippis (1954; 1983)18, della Terminologia forestale (1980)19.
Non si possono invece considerare «definizioni», quelle il cui predicato (definiens) è costituito da un complesso di termini, considerazioni o interpretazioni che nel loro insieme non concorrono a definire il termine che deve essere descritto (definiendum). In altre parole, quelle spiegazioni del termine «selvicoltura» che non forniscono argomentazioni esplicative, sintetiche ed insieme rigorose di cosa sia in realtà la «selvicoltura», quali siano i caratteri specifici che definiscono la «selvicoltura».
Nel commentare alcune delle definizioni catalogate, si introducono commenti o considerazioni personali oppure espressioni e concetti più complicati o non pertinenti all’oggetto che si deve definire, alterando in tal modo i requisiti logici delle «definizioni». Si frammischiano specifiche pratiche colturali applicate alla cura del bosco (selvicoltura) con le finalità (obiettivi) da perseguire attraverso la «coltura» e ai diversi modi di utilizzare il «bosco». Esempi eclatanti di questa procedura è il riferimento al bosco come «organismo» secondo la visione di Alfred Möller20, oppure al cosiddetto«effetto scia» (Kieselwassertheorie)21, o al «Femelschlag»22 oppure alla «cibernetica»23, ed altro ancora.
Non si danno spiegazioni sulle finalità delle varie classificazioni di «selvicoltura» e sull’oggetto (bosco) su cui si esercita tale attività. Per questo è arduo (se non impossibile) cogliere i motivi per i quali la «selvicoltura» abbia avuto nel tempo diverse connotazioni in funzione degli scopi di utilizzazione del «bosco». Si hanno infatti classificazioni diverse sia per mutamenti intervenuti nelle pratiche colturali e nello sfruttamento delle risorse boschive, sia per gli scopi perseguiti da una determinata definizione (fiscali, amministrativi, vincolistici, ecc.). L’applicazione delle pratiche di allevamento e di cura dei boschi ha caratteristiche differenziate non solo in base alle conoscenze scientifiche del tempo, ma anche del tipo di regime proprietario, dei modi di sfruttamento, dell’ambiente e della percezione o coscienza sociale della foresta, cioè del modo di «sentire» o «vivere» il bosco.
Nelle note conclusive a questa elencazione si afferma che «Gli indirizzi di fondo si possono ridurre a quattro diverse concezioni: «selvicoltura finanziaria», «selvicoltura su basi ecologiche», «selvicoltura naturalistica», «selvicoltura su basi naturali». Solo in un caso è messo in evidenza il concetto di bosco come «organismo».
Questa sintetica conclusione tende a convalidare alcune discutibili tesi del professor Ciancio. Anzitutto che la «selvicoltura» possa essere ricondotta schematicamente alle categorie create dal medesimo in base ad un’interpretazione personale dei suoi indirizzi e scopi (selvicoltura finanziaria, selvicoltura su basi ecologiche, selvicoltura naturalistica, selvicoltura su basi naturali). Questo problema delle definizioni dei diversi «tipi» di selvicoltura verrà esaminato in seguito, perché si tratta di un’altra «Babele» terminologica e concettuale (per non parlare della definizione di «bosco»).
Egli rileva che «in quasi tutte [le definizioni] emerge che l’obiettivo prevalente della coltivazione è la massimizzazione della produzione di legno, direttamente correlata alla massimizzazione del reddito fondiario da conseguire in un tempo limitato e con il minimo dispendio di energia, lavoro e capitali». In effetti, ogni intervento selvicolturale si basa su considerazioni di carattere economico ed operativo (minimizzare costi e tempi degli interventi e massimizzare la resa produttiva), tuttavia, se si intende parlare di «selvicoltura finanziaria», è indispensabile chiarire a quale contesto storico, ambientale, economico e sociale si fa riferimento e, sopratutto a quale regime di proprietà si applichi questa «selvicoltura finanziaria». Perché non è vero che ogni tipo di «selvicoltura» tenda alla «massimizzazione del reddito fondiario».24
Questo può valere per un imprenditore forestale puro (proprietari, singoli o pubblici, di estese foreste o imprese concessionarie per lunga durata di boschi), ma non vale certamente per imprenditori, che apportino personalmente alcuni, se non tutti, i fattori produttivi, perché al proprietario di un «bosco», specie se questo è scarsamente produttivo o con elevati costi di macchiatico, interessa maggiormente il reddito netto (RN) perseguibile25. Questo varia in funzione dell’apporto di beni e servigi forniti direttamente dall’imprenditore concreto e nelle aziende agro-silvo-pastorali delle zone montane si possono trovare imprenditori con un Reddito Netto (rappresentato non solo dal cumulo di salario, stipendio, interessi, beneficio fondiario e tornaconto – positivo o negativo -) ma anche da altre attività collaterali (agriturismo, escursionismo, istruzione sportiva, ecc.). Per una esposizione dettagliata del bilancio dell’azienda agricolo-forestale vedi Merlo Maurizio bilancio dell’azienda agricolo-forestale.
Va anche ricordato che l’attuale normativa fiscale fa una netta distinzione tra attività svolte per la cura e il mantenimento del bosco e quelle rivolte semplicemente ad utilizzare il bosco.26
La cosiddetta «selvicoltura finanziaria» dovrebbe essere considerata quindi un’«attività industriale» con le norme che regolano questo comparto. Ritengo però che questo tipo di selvicoltura, vagamente descritto da Ciancio sia poco diffuso nel nostro Paese, tranne che per gli impianti di arboricoltura da legno. Anche le considerazioni svolte sulla diffusione degli impianti mono-specifici e sul taglio raso in Europa non mi sembrano attuali. Queste considerazioni potevano essere valide per la «selvicoltura» europea dell’Ottocento o del periodo tra la prima e la seconda guerra mondiale e attualmente per i paesi extraeuropei (Americhe e Asia) dove la cosiddetta «selvicoltura finanziaria» è applicata negli impianti artificiali destinati alla produzione di legname da opera oppure di cellulosa.
Quanto poi alle considerazioni economiche del professor Ciancio, ritengo sia necessario un loro aggiornamento, perché «Il mercato dei prodotti e servizi forestali ha subito radicali trasformazioni negli ultimi decenni, con impatti significativi sul livello di attività e quindi sulle forme di gestione dei terreni boscati». È quindi indispensabile conoscere (e far conoscere) come si sta indirizzando l’economia silvo-pastorale in alcune aree montane del nostro Paese, soprattutto per quanto riguarda l’apporto reale alle popolazioni locali dei benefici aggiuntivi derivanti dal turismo e da altri servizi.27
Per le altre categorie che dovrebbero includere forme o indirizzi diversi di «selvicoltura» – «selvicoltura su basi ecologiche», «selvicoltura naturalistica», «selvicoltura su basi naturali» – valgono analoghe considerazioni. Anche in questo caso non si dà una definizione rigorosa delle singole categorie, tale da permettere al lettore di farsi una precisa idea degli elementi differenziali che stanno alla base di questa classificazione. In altre parole, quali siano le caratteristiche che permettano di fare una distinzione tra la «selvicoltura su basi ecologiche», la «selvicoltura naturalistica» o la «selvicoltura su basi naturali». Sul significato ed uso di questa aggettivazione al termine« selvicoltura» si tornerà in seguito, tenendo però in debita considerazione l’esortazione che «La stessa selvicoltura, anziché rifugiarsi in nuovi aggettivi, dovrebbe opportunamente uscire dalla ristretta cerchia dei forestali e farsi conoscere con un linguaggio semplice e non di casta da un pubblico sempre più interessato e numeroso».28
Affermare che la «selvicoltura» è una «scienza» è un’idea fissa del professor Ciancio, il quale è convinto che «Il bosco è il laboratorio dove è possibile scoprire l’autentica essenza dell’arte e della scienza forestale e acquisire quel nutrimento spirituale, etico e culturale al quale i forestali non possono abdicare.29
«Se penso alla mia posizione devo collocarmi tra la quinta e la sesta età, cioè l’età in cui per un ricercatore è d’obbligo fare una riflessione sui rapporti tra scienza, tecnologia e etica; riflessione che man mano con il passar degli anni è divenuta uno dei miei principali interessi»30
Di questo si è già parlato abbastanza, ma prima è forse utile far conoscere questa «scoperta» del professor Ciancio:
La selvicoltura ha «reale dignità di scienza», in quanto definita tale «per la prima volta [da] Varenne de Fenille (in Le Duc, 1869).
«Il pensiero forestale italiano, da quando per la prima volta Varenne de Fenille (in Le Duc, 1869), definì scienza la selvicoltura, è stato dominato da due concezioni: quella tradizionale scolastica della «selvicoltura classica» («selvicoltura finanziaria», «selvicoltura su basi ecologiche» e la cosiddetta «selvicoltura naturalistica») – e poi quella nuova, attuale della «selvicoltura sistemica»31.
Che «il pensiero forestale italiano» sia stato «dominato» dalla «selvicoltura sistemica», mi sembra un po’ eccessivo, oserei dire sproporzionato (almeno per quanto riguarda la sua applicazione pratica), ma posso sbagliarmi, perché non mi è chiaro cosa sia questo «pensiero forestale italiano» che aleggia negli scritti «silvo-sistemici».
Scoprire che Varenne de Fenille, vittima del Terrore e autore di alcuni scritti di agronomia e selvicoltura32, ha definito, nel 1792, «scienza» la «selvicoltura», è stato motivo di stupore, perché si sarebbe dovuto segnalare l’errore incorso dal Dictionnaire étymologique, Larousse (1998), dove, come precedentemente precisato, si attesta che il termine «Sylviculture» è stato impiegato per la prima volta in Francia da Teulières nel 1835, e quello di «Sylviculteur» nel 1872.
Il testo originale, com’era da aspettarsi, riporta invece che «la scienza forestale» è complessa, perché «richiede, diceva Varenne de Fenille nel 1792, le conoscenze più diverse, più «complicate», più «approfondite» di quelle pensate fino allora. …Essa, in effetti, spazia dalla fisiologia vegetale, alla chimica, all’entomologia, alla geologia… ».33
Nel suo recente libro, il professor Ciancio, cita a questo proposito un articolo di Peyron34, nel quale vengono messi in rilievo alcuni aspetti della coltivazione dei boschi, affrontati da Varenne de Fenille, per migliorare la produzione di legna da ardere e far fronte alla penuria di legname. Secondo questo autore «Verosimilmente dobbiamo a Varenne de Fenille la formulazione, per la prima volta, della proprietà matematica secondo cui l’accrescimento medio in volume di un popolamento coetaneo culmina allorquando esso è uguale allo “accrescimento corrente”»35. Lungi dal disconoscere i meriti scientifici di Varenne de la Fenille, il quale però nelle sue prescrizioni colturali dei cedui ha abbondantemente attinto dai contributi – ben più importanti – di altri naturalisti dell’epoca (Buffon, Réaumur, Duhamel du Monceau) e dei «phylosophes» francesi del XVIII secolo, va ricordato che a quell’epoca la «selvicoltura» germanica era già molto avanzata.
Nel 1713, Hans-Carl von Carlowitz aveva sottolineato la necessità di perseguire la «durevolezza» (Nachhaltigkeit) della produzione legnosa; già da tempo i «cameralisti» tedeschi avevano approntato regole di gestione delle foreste; Heinrich Cotta aveva elaborato metodi di valutazione delle foreste e alcune scuole per la formazione di agenti forestali erano già funzionanti. La diffusione di quello che è stato definito “ spirito quantificatore” nella gestione delle foreste era da tempo iniziata. Con l’Illuminismo questo nuovo modo di considerare la natura si affermerà e, nello sviluppo delle scienze forestali, la scuola tedesca (intendendo con questa espressione i paesi dell’Europa Centrale a prevalenza di lingua tedesca) avrà un ruolo determinante.36
Il contributo di Varenne de Fenille nel definire il turno più conveniente di ceduazione attraverso misurazioni e pesature ripetute della legna è interessante, ma questo non fa di lui un luminare della selvicoltura da porre accanto ai grandi «phylosophes» illuministi ed egli non può essere realisticamente additato come pioniere dell’auxometria forestale e tanto meno come fondatore della «selvicoltura».
Si è più volte detto che la «selvicoltura» (Sylviculture, Silviculture, Waldbau) è la «disciplina che si interessa dei problemi connessi con l’impianto, le coltivazione, il governo e lo sfruttamento razionale del patrimonio boschivo, soprattutto ai fini della produzione del legname», facente parte del corpus dottrinale delle «scienze forestali». L’inclusione delle «scienze forestali» nel novero delle «scienze» risale alla concezione positivistica di «scienza», in voga ai primi del Novecento, quando gli ingegneri e i ricercatori forestali erano considerati depositari del «sapere forestale», anche se il loro lavoro aveva (ed ha) un carattere eminentemente pratico-applicativo. Su questo problema la scuola forestale svizzera (analogamente alle altre istituzioni di ricerca europee) è assai chiara, e alle domande se gli ingegneri forestali (Forstingenieure), gli «assestatori» (Forstwirte) o «pianificatori» (Forst- und Landschaftsmanager) possano rientrare nella categoria degli scienziati, rispondono con un esplicito diniego, dal momento che i «forestali» hanno il compito di svolgere un lavoro e di esercitare un’attività pratica, finalizzata ad un preciso scopo.37
Nell’attività pratica, per garantire una buona crescita, un armonioso sviluppo, una rinnovazione adeguata del bosco e un’utilizzazione bilanciata delle sue risorse, i «forestali» non si applica una generica «selvicoltura», ma dei «sistemi selvicolturali». Intendendosi per «sistemi selvicolturali» (Silvicultural system, Waldbausystem, Système sylvicole), le procedure adottate per governare e trattare i boschi in modo da conseguire i prodotti forestali, primari (legname) e secondari (Non Timber Forest Resources) richiesti, e garantire, nel contempo, funzionalità nell’erogazione dei benefici ambientali. La scelta del «sistema selvicolturale» si basa su una valutazione dei caratteri stazionali e bio-ecologici del popolamento e sugli obbiettivi da perseguire e non si riduce alla semplice determinazione della quantità di legname da prelevare. Quest’ultima decisione operativa, come del resto la definizione di un particolare uso del bosco – protettivo, ricreativo, multiplo, ecc. – è conseguente all’analisi dei caratteri (auto- & sin)-ecologici del bosco, alla valutazione dello stato sanitario, delle caratteristiche stazionali, e dei parametri dendro-auxologici ottenuti con misure e rilievi campionari oggettivi.
La definizione degli obiettivi da conseguire deriva, quindi, da un’accurata analisi dei caratteri del bosco, dalla valutazione delle limitazioni d’uso e dallo studio sull’applicabilità, nello specifico contesto ambientale ed operativo, di metodi selvicolturali mirati a salvaguardare l’integrità e il buon sviluppo del bosco e, ovviamente, a garantire un rapporto ottimale tra costi e benefici, nell’ambito dei vincoli imposti dai caratteri del bosco, dagli scopi prefissati e dalle regole generali vigenti di cura e protezione dell’ambiente.
Talvolta, il termine «selvicoltura» viene usato da inesperti per significare il complesso delle «scienze forestali», intese, nel loro insieme, come saperi ed esperienze finalizzate all’attività di cura e di governo dei boschi. Quest’uso traslato del vocabolo «selvicoltura» per indicare sia norme di gestione dei boschi, sia ambiti disciplinari più vasti, che interessano il complesso delle «scienze forestali» è improprio, ma purtroppo ricorre di frequente nell’esposizione dei fondamenti scientifici della «selvicoltura sistemica» (designata, pomposamente, come «paradigma»).
Nel valutare i caratteri del bosco si fa ricorso a discipline scientifiche (biologia, chimica, fisica, matematica, ecc.) e sociali diverse (sociologia, economia, antropologia, ecc.) ed è su questa base che si definiscono i criteri e i metodi di gestione appropriati per realizzare gli scopi prefissati in un particolare contesto ambientale. Questo studio congiunto di varie discipline per gestire i boschi non è «un’analisi riduzionistica che si traduce in frammentarietà di elementi conoscitivi non sufficienti a comporre in un unico insieme i presupposti della disciplina» e non è assolutamente vero che le valutazioni dei selvicoltori (ovviamente di quelli che possiedono adeguate conoscenze «tecniche» in materia) siano inficiate da «La frammentarietà della conoscenza [che] porta più spesso a specialismi parziali che si dovrebbero poter superare al fine di ottenere elementi conoscitivi concorrenti significativamente a una visione dell’intero indispensabile a comprendere i rapporti sempre più difficili e complessi tra uomo e natura»38. È piuttosto inusuale e stravagante sentire dal Presidente dell’Accademia Italiana di Scienze Forestali che gli attuali metodi di indagine ecologica e di gestione dei boschi applicati dai selvicoltori e dai forestali (è sottinteso «tecnicamente» preparati) conducono ad una «Analisi riduzionistica che si traduce in frammentarietà di elementi conoscitivi non sufficienti a comporre in un unico insieme i presupposti della disciplina» e che questa presunta concezione unilaterale, frammentata della «selvicoltura» tradizionale è «L’insularità [che] inevitabilmente porta a quella che può definirsi la dittatura del riduzionismo positivista».39
La gestione dei boschi è un’attività pratica, «positivista» che si basa su conoscenze scientifiche, competenza tecnica e comprensione sociale. Questa attività coinvolge diversi soggetti – operatori forestali, proprietari dei boschi, popolazione locale – e interessa non solo uno specifico, ben identificato popolamento boschivo, ma anche il complesso paesaggistico, ambientale ed economico in cui si opera. Le «teorie», derivanti dalla «maturazione» di un pensiero forestale, non risolvono nessuna «questione forestale», né sul piano conoscitivo ed etico, né sul piano politico, fattore prioritario per arrestare il degrado dell’economia agro-silvo-pastorale, il dissesto idrogeologico, le attività di rapina delle risorse ambientali, così diffuse e capillari, simmetricamente al collasso delle istituzioni amministrative e tecniche.
Che la «questione forestale» (generica, vacua espressione onnicomprensiva) possa essere affrontata e risolta attraverso la maturazione di «un pensiero forestale [basato] su una teoria capace di affrontare e risolvere sul piano conoscitivo ed etico», è una elucubrazione astrattamente idealistica, che non può essere presa in alcuna considerazione per la sua futilità.
Nell’attesa che il “pensiero forestale” (della cui esistenza non c’è certezza alcuna) maturi attraverso “una teoria capace di affrontare e risolvere sul piano conoscitivo ed etico”, possiamo solo sperare che i boschi continuino a prosperare, senza attendere che si risolvano, sul piano conoscitivo ed etico, i problemi relativi alla loro gestione.
Intanto possiamo essere fiduciosi che la “Forestale” continuerà – con le armi in pugno – a difendere i nostri boschi sotto la spiritual guida del suo Capo impegnato a «far rientrare l’ecologia nel suo giusto alveo per poi utilizzare il creato secondo criteri etici indipendenti dal mondo naturale ma legati alla cultura, a paradigmi interiori, provenienti da Dio, qualora si abbia una visione di tipo religioso, dal mondo scientifico, tecnico e così via».40
- Il lemma «arte» sembra derivi dalla radice ariana «ar-», che in sanscrito significa «andare verso», e – in senso traslato – «adattare, fare, produrre». Nel latino la radice si ritrova in «ars, artis» (it. «arte»; fr. «art»; sp. «arte»), termine che designa l’abilità in un’attività produttiva, la capacità di fare o agire in «maniera adatta», consona alle conoscenze e alle pratiche in uso.
- Termine derivante da «können» = «conoscere», in senso teorico e pratico, ma anche «potere», quindi ciò che si «padroneggia» (das, was man beherrscht) sia dal punto di vista teorico che pratico. Analogamente in inglese il termine «art», indica «talento», «destrezza», «abilità nel fare» (skill, dexterity; art, science, talent); come sinonimo si utilizza talvolta il termine «craft», il quale – oltre all’abilità nello svolgere un’attività produttiva – denota anche una «potenza» nell’agire.
- Ciancio Orazio, 2010 – La teoria della selvicoltura sistemica i razionalisti e gli antirazionalisti, le «sterili disquisizioni» e il sonnambulismo dell’intellighenzia forestale. Accademia Italiana di Scienze Forestali, Tipografia Coppini, Firenze, p.3.
- Secondo Isidoro da Siviglia (Isidori Hispalensis Episcopi, Etymologiarum sive Originum Liber XVII De Rebus Rusticis) «sylva» è un bosco denso e basso, pronunciato quasi come «xylva», perché da qui si trae la legna, che i greci denominano «ξύλον» «xilon» (Silva vero spissum nemus et breve. Silva dicta quasi xylva, quod ibi ligna caedantur; nam Graeci ξύλον lignum dicunt). Nelle lingue neolatine: fr. silva; sp. selva; pt. silva, selva; ro. silvă.
- (Dictionnaire étymologique, Larousse, 1998). Prononc. et Orth.: [silvikylty:ʀ]. Att. ds Ac. dep. 1878. Lar. Lang. fr.: sylviculture, silviculture. Étymol. et Hist. 1835 (P. Teulière, Histoire naturelle, Paris, 83 ds Fr. mod. t. 33, p. 232: La culture […] des forêts, [s’appelle] sylviculture); 1845 silviculture (Besch.). Comp. de l’élém. sylvi-, du lat. silva, sylva «forêt» et de culture* sur le modèle de agriculture*, horticulture*, etc.
- Grande Dizionario della Lingua Italiana [abbreviazione usuale: GDLI], diretto da Salvatore Battaglia (completato da Giorgio Bàrberi Squarotti), Torino, UTET, 1961-2001.
- «Terminologia Forestale», Accademia italiana di scienze forestali, 1980.
- Questa voce ha però uno svarione perché si afferma che «La selvicoltura si avvale dei principi dell’ecologia forestale che considera il bosco come un «organismo», cioè «un tutto che si sviluppa e si riproduce… ». Solo i nostrani «silvo-sistemici» affermano che il «bosco» è un «organismo», a nessun serio studioso di ecologia verrebbe mai in mente di affermare che questa «biocenosi» o «fitocenosi» è «un tutto organico che si sviluppa e si riproduce».
- Sylviculture (sust. Fem.) – Science ayant pour objet la culture, l’entretien et l’exploitation rationnelle des forêts. Ensemble des techniques permettant la création et l’exploitation rationnelle des forêts tout en assurant leur conservation et leur régénération.
- Il termine deriva da «Wald» (protogermanico *widu-z, *widu, [legno – albero, en. wood – tree, old en. weald, wold)] e «Bauen» [alto tedesco, būan, abitare, vivere], costruire, edificare, erigere. Questo termine«bauen» denota un’attività svolta dall’uomo, mentre il termine «Erzieung» indica invece l’allevamento, l’educazione di una essere vivente.
- Waldbau ist die Kunst der Waldsteuerung in der gewünschten Richtung mit rechtzeitigen und rationellen Massnahmen, auf der Basis von naturwissenschaftlichen Erkenntnissen, ohne dabei die natürlichen Produktionskräfte einzuschränken, (Jean-Philippe Schütz, Waldbau 1, 2003)
- Waldbau (Waldbaulehre), die Lehre von den Methoden und Regeln, wie unter Beachtung der obwaltenden Standortsverhältnisse die Meyers Bestandsgründung (s. d.) auszuführen ist, anderseits auch die Maßregeln, durch die eine gedeihliche Entwickelung vorhandener Bestände erreicht wird.
- Il termine «bosco» deriva dal lat. mediev. «buscus» o «boscus», germ. occid. «busk» o «bosk»; sp. pt. «Bosque», fr. «Bois» – anche legno -] ed indica una «Associazione vegetale di alberi selvatici di alto fusto (e inoltre di arbusti, suffrutici ed erbe, che più propriamente costituiscono il «sottobosco») su una notevole estensione di terreno».
- Leone Vittorio, 1996 – Il significato attuale della selvicoltura (p. 141). In Ciancio Orazio (a cura) 1996 – Il bosco e l’uomo. Accademia Italiana di Scienze Forestali, Tipografia Coppini, Firenze.
- Da un punto di vista logico, una «definizione» è costituita da due parti: il definiendum, ossia l’espressione che viene definita, e il definiens, ossia l’espressione nei cui termini la cosa o la parola considerate è «definita»
- «Selvicoltura» è coltura di alberi in complesso e in massa col precipuo scopo di ritrarne migliore e più copiosa quantità di legname.
- «Selvicoltura» è coltura di alberi in complesso e in massa col precipuo scopo di ritrarne migliore e più copiosa quantità di legname» o la «produzione più utile e copiosa di prodotti boscherecci, col minor dispendio possibile di tempo e denaro».
- «L’insieme delle cure di allevamento, di rinnovazione, o di ripristino, dei soprassuoli forestali, finalizzate a un uso vario, ma sicuramente conservativo dei boschi», oppure, nell’accezione di «disciplina selvicolturale» (Waldbaulehre), «L’insieme di tutte le conoscenze e le attività relative ai boschi, alla fruizione dei loro prodotti e servigi, alla loro conservazione e rinnovabilità, al loro ripristino, in relazione con l’ambiente fisico, biotico, antropico in cui vivono»
- «La «selvicoltura», in senso tecnico e ristretto, è la scienza e la pratica di coltivare i boschi, applicando i principi dell’ecologia forestale all’impianto, alla rinnovazione e a razionali interventi, per condizionare la struttura, la composizione di specie, ecc., dei popolamenti forestali»
- Questo autore «dà una definizione legata all’idea di Dauerwald – bosco permanente – e al concetto di bosco come organismo. Il bosco è costituito da individui – gli alberi – interdipendenti che aggregandosi formano un nuovo individuo; appunto, il bosco. La selvicoltura non deve compromettere la funzionalità del bosco».
- «In molte [definizioni], anche se in modo indiretto, si fa riferimento al cosiddetto «effetto scia», cioè al principio secondo il quale una volta assicurato nel tempo il massimo di produzione legnosa sono soddisfatte anche le altre funzioni, e con esse i bisogni e le esigenze della società.
- Leibundgut (1946; 1987) introduce il Femelschlag perfezionato, cioè un trattamento aggiornato dell’antico trattamento bavarese.
- «La selvicoltura può dunque concepirsi come disciplina di applicazione dell’ecologia forestale e finalmente come cibernetica forestale applicata ai bisogni della società». Annotazione arbitraria di Ciancio attribuita a Schütz (1990)
- Il Reddito Fondiario (RF) si ottene detraendo dalla PLV tutti i costi espliciti (SV+Q+Imp+Sa+St+I) e quindi (RF) = Beneficio Fondiario e Tornaconto (positivo o negativo) (BF±T)
- Il Reddito Netto di un imprenditore concreto si ottiene detraendo dalla PLV – Produzione Lorda Vendibile – il costo dei fattori acquistati sul mercato – RN=SA+ST+I+Bf±T
- «La silvicoltura consiste nella riproduzione del bosco, nella sua cura e conservazione e va tenuta distinta dall’attività di disboscamento o di mera estrazione del legname. La semplice attività di estrazione del legno, mediante l’abbattimento degli alberi ed il taglio del legname, senza alcuna cura della conservazione della produttività del bosco, non può, invece, essere considerata attività di selvicoltura, bensì costituisce un’attività industriale» (Art. 32, c. 2, lettera a), D.P.R. 917/1986)
- Pettenella Davide, 2011 – La gestione delle risorse forestali: verso una nuova economia delle risorse naturali della montagna. Alpine Space – Man & Environment, vol. 12: Le Alpi che cambiano tra rischi e opportunità, Innsbruck University Press (IUP), ISBN 978-3-902811-09-7.
- Marcello Mazzucchi La selvicoltura e i suoi aggettivi, Sherwood n. 150: 28-29, 2009.
- Ciancio Orazio, Il bosco tra ragioni del cuore e passioni della ragione (s.d.)
- Orazio Ciancio, 2007 – Le nuove frontiere delle Scienze forestali. Annali Accademia Italiana Scienze Forestali, Vol. 56: 117-128.
- Ciancio Orazio, 2013 – Il principio di polarità e la nuova concezione della selvicoltura. L’Italia Forestale e Montana 68 (1): 3-10
- «Œuvres agronomiques et forestières de Varenne de Fenille: Étude précedées d’une notice biographique» par Philibert Le Duc, Paris J. Rothschild, Éditeur, Libraire de la Société Botanique de France, 1869.
- «La science forestière est complexe» «… Elle requiert, disait Varenne de Fenille en 1792, des connaissances plus variées, plus «compliquées», plus «approfondies» qu’on ne l’avoit pensé jusqu’ici. Elle touche, en effet, à la physiologie végétale, à la chimie, à l’entomologie, à la géologie…». L’interpretazione del pensiero di Varenne è ovviamente di Le Duc (1869), che in quegli anni da buon patriota francese detestava la Germania
- Peyron Jean Luc (1996): Il y a 200 et quelques années, …une éminente tête forestière tombait sur l’échafaud. Revue Forestière Française, 48 (2): 493-496
- «C’est vraisemblement à Varenne de Fenille que nous devons d’abord d’avoir formulé , pour la première fois , la propriété mathématique selon laquelle l’accroissement moyen en volume d’un peuplement forestier équienne culmine lorsqu’il est égal à “accroissement courant”»
- Frangsmyr, Tore, J. L. Heilbron, and Robin E. Rider, editors The Quantifying Spirit in the Eighteenth Century. Berkeley: University of California Press, 1990.
- Gli ingegneri forestali sono scienziati? No, come indica il termine sono degli ingegneri (così si chiamano tutti i «forestali» europei), (Sind Forstingenieure Wissenschaftler? Nein, sie sind, wie die Bezeichung sagt, Ingenieure); I gestori della foresta sono scienziati? No, come dice il nome essi hanno il compito di gestire il bosco, (Sind Forstwirte Wissenschaftler? – Nein, sie haben, wie der Name sagt, den Wald zu bewirtschaften); I pianificatori e gli amministratori del bosco e della campagna sono degli scienziati? No, essi debbono controllare e regolare i processi che interessano il bosco, la foresta, e l’ambiente, (Sind Forst- und Landschaftsmanager Wissenschaftler? – Nein, sie haben die Prozesse die Wald und Forst, sowie die Landschaft betreffen, zu regeln).
- Ciancio Orazio, 2013 – Il principio di polarità e la nuova concezione della selvicoltura. L’Italia Forestale e Montana, 68 (1): 3-10.
- Dal momento che le auto-citazioni e il riferimento a scritti dei “discepoli” sono di scarso ausilio per comprendere quale sia il «problema» o la «questione forestale» che la «selvicoltura sistemica» risolve, sarebbe opportuno che qualche «forestale», esperto nell’arte della decodificazione, fornisse ai lettori una interpretazione autentica di queste affermazioni.
- Patrone Cesare, 2012 – Ecologia e bioetica: brevi considerazioni per un moderno approccio alla tutela dell’ambiente. In “Atti dei Convegni Vallombrosa”, 15 giugno 2012, «Coscienza ambientale: dall’etica alla prassi», Edizioni Vallombrosa , p. 40